L’uso di ChatGPT modifica l’attività cerebrale? Uno studio scatena il dibattito – riflessioni

Scritto il 25/08/2025

L’AI è già qui, dentro tutto. Il punto non è resisterle, ma re-inventarne l’uso.

Quando Marco si siede alla scrivania per scrivere la sua tesi, il dilemma non è tra un mondo con e un mondo senza AI. Quello mondo non esiste più. Il suo motore di ricerca, il correttore ortografico, il software di videoscrittura, i consigli di Netflix che distraggono la pausa caffè: tutto è già potenziato da algoritmi intelligenti. La domanda vera è: come vuole interagire con questo ecosistema ormai inevitabile?

La ricerca del MIT Media Lab—ancora in fase di peer review e quindi da prendere come indicazione preliminare, non come verità assoluta—fotografia un dato interessante: in uno specifico contesto di uso passivo, l’attivazione neurale cala. Questo non è l’ultima parola sull’AI, ma il primo capitolo di un libro che dobbiamo scrivere noi. Ci mostra il rischio di un modello di interazione: la delega passiva. Ma il suo merito più grande è costringerci a chiederci: esistono modelli migliori?

Se usciamo dai confini ristretti dell’esperimento e guardiamo al mondo reale, vediamo che l’AI è un’infrastruttura. È nel telefono che ci guida nel traffico, nel sistema che ci suggerisce la canzone successiva, nell’assistente che predice la nostra prossima parola. Resistere a questa realtà è futile. La sfida evolutiva—cognitiva, sociale, professionale—è adattarci creativamente per sfruttare questo strato di intelligenza senza esserne fagocitati.

Dobbiamo quindi smettere di pensare all’AI come a uno strumento opzionale e iniziare a pensare a come progettare una “ecologia cognitiva” in cui l’AI sia parte integrante ma subordinata al pensiero umano. L’obiettivo non è salvaguardare una purezza intellettuale incontaminata, ma costruire una simbiosi che potenzi la nostra specie.

Come? Ecco tre idee creative per un futuro prossimo:

  • Dall’AI Generativa all’AI Interrogativa.Immaginiamo strumenti progettati non per dare risposte, ma per fare le domande migliori. Un editor di testo che, invece di scrivere al posto nostro, ci sfidi: “Hai considerato la tesi opposta?” “Questa fonte è abbastanza solida?” “Perché questo passaggio logico è debole?”. Sarebbe un personal trainer per la mente, non un ghostwriter.
  • L’AI come Amplificatore di Diversità Cognitiva.I nostri bias ci rendono prevedibili. Un’AI ben progettata potrebbe analizzare il nostro modo di pensare e introdurre deliberatamente punti di vista alternativi, costringendoci a uscire dai sentieri mentali battuti. Potrebbe essere il “avvocato del diavolo” incorporato in ogni processo decisionale, creativo o analitico.
  • Dai Sistemi Chiusi agli Ecosistemi Aperti e Verificabili.La vera sfida è la trasparenza. L’AI più pericolosa è quella “invisibile” e opaca che influenza le nostre scelte senza che noi lo sappiamo. Il futuro è in sistemi open-source o verificabili dove possiamo comprendere i limiti e i pregiudizi del nostro “partner cognitivo”, scegliendo consapevolmente quando fidarsi e quando dubitare.

La ricerca del MIT, in questa luce, non è una condanna, ma un campanello d’allarme. Ci avvisa che la strada più facile—la delega passiva—porta all’impoverimento. Ma ci indica anche la direzione opposta: quella di un uso attivo, critico e dialogico che non solo preserva la nostra agency, ma la potenzia in modi inediti.

Il cervello umano è plastico. Si adatterà, come ha sempre fatto. L’abbiamo fatto con la scrittura, con la stampa, con internet. Ora il cambiamento è semplicemente più rapido e pervasivo. La nostra unica opzione realisticamente intelligente è prenderne atto e guidare attivamente questo adattamento.

Il futuro non sarà di chi rifiuta l’AI, ma di chi saprà progettare, insegnare e praticare il modo più intelligente per usarla. Dovremo diventare architetti della nostra stessa intelligenza estesa. La domanda per Marco, e per tutti noi, non è “usarla o no?”, ma “che tipo di utente, progettista e cittadino voglio essere nell’era dell’intelligenza artificiale?”. La risposta a questa domanda definirà il prossimo capitolo dell’evoluzione cognitiva umana.