Partendo dalle basi, la Value Based Healthcare è una cornice di pensiero che ambisce, letteralmente, ad una “Sanità basata sul valore”. Come si può definire questo concetto “disruptive”? In effetti, tale principio può essere rinvenuto già nei primi scritti sulla medicina degli antichi Greci, di certo quindi non un pensiero innovativo e stravolgente. Va altresì detto che nelle decadi recenti è emersa la necessità di ribadire la necessità di riorientare i sistemi sanitari di tutto il mondo verso direzioni più di valore, più centrate sul paziente e sull’esito di cura.
Ma perché?
I numeri parlano molto chiaro, la domanda di salute aumenta, la disponibilità di risorse si restringe, i compromessi, quindi, sono spesso necessari e non sempre orientati come prima istanza verso l’esito delle cure. La crisi del nostro SSN ne è un esempio: con le unghie e con i denti si cerca di difendere un principio di universalità che è sempre più minacciato dal definanziamento, dagli sprechi, da trend epidemiologici a cui è difficile rispondere nei giusti tempi e con i giusti mezzi. In aggiunta, il divario regionale del nostro paese non fa che aggravare l’equità dell’accesso alle cure e la spesa out of pocket dei cittadini incrementa inesorabilmente[1].
E quindi, sì, è indubbio il bisogno di ribadire la centralità del paziente e dei suoi bisogni e di orientare direzioni politiche e regolamentative in tal senso.
Esistono due modelli di riferimento principali per la definizione della VBHC, quello di Porter[2] e quello di Gray[3], ma, aldilà delle differenze dei due modelli, condizionati dalla natura e struttura dei sistemi sanitari di provenienza, il concetto alla base della VBHC è per entrambi lo stesso: dobbiamo essere consapevoli di quanto l’impiego di risorse dei nostri SSN produca realmente buoni esiti di salute. Quindi le reportistiche di contabilità analitica (ove raramente presenti) e le allocazioni di budget non possono più essere valutate in modo separato da indicatori di sopravvivenza o mortalità, ma occorre iniziare a correlare i due fronti, tradizionalmente gestiti e analizzati in modo distinto e per scopi diversi, sia in ambito pubblico che privato. Se già questo sembra uno sforzo immane, un’altra importante sfida che la VBHC ci pone (e qui sì che si può parlare di disruptive thinking) è il coinvolgimento attivo del paziente, per quanto riguarda sì la valutazione ma anche e soprattutto la co-progettazione dei servizi sanitari. Per tale fine esistono già strumenti validati ed utilizzati a livello internazionale, che supportano le iniziative di raccolta del punto di vista del paziente, in termini di PROMs (Patient Reported Outcome Measurements) e PREMs (Patient Reported Experience Measurements) ma, in aggiunta a questi, anche la collaborazione con le Associazioni del Terzo Settore ed i Comitati di Partecipazione offre opportunità per le aziende sanitarie nel coinvolgimento degli assistiti.
L’approccio VBHC ci invita quindi ad intraprendere un percorso di presa di coscienza oggettiva e puntuale dello stato attuale rispetto ai servizi sanitari erogati, in termini di esiti e costi (ed inevitabilmente quindi anche processi), dal punto di vista dell’organizzazione, dei sanitari e dei pazienti, per proporre una riorganizzazione strutturata su bisogni e obiettivi condivisi.
Due sono i principali ostacoli nel contesto nazionale per poter rispondere a tale chiamata: la privacy e l’integrazione dei dati.
Entrambi i fronti infatti limitano non solo la possibilità di coinvolgere direttamente i pazienti ma anche, dal punto di vista meramente organizzativo, l’abbracciare una visione e un’analisi trasversale dei servizi sanitari con l’obiettivo di valutare il percorso di cura per intero e non più limitato entro i confini della realtà ospedaliera piuttosto che territoriale a cui apparteniamo.
Nondimeno, la partecipazione della Medicina Generale, figura fondamentale per la valutazione e la strutturazione dell’intero ciclo di cura e del benessere dei pazienti, risulta ancora difficoltosa, in termini di integrazione con le strutture ospedaliere e territoriali sai fini della programmazione dei servizi e della presa in carico dei pazienti
Detto questo, è indubbio che serva intervenire sul piano regolamentativo e normativo, sia a livello nazionale che regionale, per supportare un tale cambio di mentalità: rivedere i modelli di rimborso, i criteri di valutazione ed approvvigionamento dei servizi e dei prodotti, garantire la privacy senza renderla un ostacolo per il miglioramento delle organizzazioni sanitarie, investire in strumenti e tecnologie che integrino i dati.
D’altro canto, possiamo aspettare che tutto questo cambi prima di muovere i primi passi verso una cultura VBHC? Decisamente no. E non perché sia un trend in voga al quale vogliamo partecipare, ma piuttosto perché risulta l’unica via percorribile per salvare il nostro SSN…e non solo il nostro.
Infatti, già da anni ormai, sia l’Unione Europea[4] che organismi internazionali [5] ci chiamano a rivedere il paradigma del nostro SSN, con campagne di indagini e tavoli di confronto di scala mondiale. Tra queste attività merita una citazione l’Indagine “PaRIS”(“Measuring What Matters: the PatientReported Indicator Surveys – Patient-reported indicators for assessing health system performance), un’iniziativa dell’OCSE[6] avviata nel 2019, volta a raccogliere dati direttamente dai pazienti per valutare la qualità e l’efficacia dei servizi sanitari, con l’obiettivo di comprendere meglio le singole esperienze e utilizzare queste informazioni per migliorare le prestazioni dei sistemi sanitari. L’indagine, vista la larghissima scala, è stata strutturata in più fasi progettuali (Design and Development Phase, 2017-2020; the Field Trial, 2021-2022; Main Survey, 2022-2023) e, dai primi report pubblicati quest’anno, emerge che relativamente alla fase di solo test dell’iniziativa sono già stati coinvolti 18 nazioni e circa 11.000 pazienti (di cui molti nostri concittadini). Tale progetto, per il SSN rappresenta un’enorme opportunità di analisi e benchmarking con altre realtà europee e internazionali, più o meno simili al nostro contesto. Infatti, molto potremmo apprendere anche da Paesi non molto lontani da noi: esistono realtà, quali il Regno Unito e la Spagna, che hanno investito molto sul sistema sanitario pubblico regionale (rispettivamente il Galles e la Catalogna), promuovendo la formazione sul tema e istituendo organismi per il coordinamento e la riorganizzazione dei servizi sanitar regionali in ottica VBHC (rispettivamente il “Welsh Value in Health Centre” e “AQuAS – Agència de Qualitat i Avaluació Sanitàries de Catalunya”).
Ebbene, formazione: come tutti i paradigmi, anche la VBHC per poter essere declinata nella realtà richiede formazione, cultura e linguaggio comune. Pur non dovendo diventare le nostre realtà sanitarie dei “corsifici” è fondamentale che questa cultura permei a tutti i livelli e in tutte le direzioni, dai sanitari ed amministrativi operativi in prima linea alle Direzioni Generali aziendali, dai grandi Hub ospedalieri alle remote comunità montane, dalla popolazione ai Ministeri della Sanità e della Formazione, passando dagli enti regionali. Mettere le fondamenta culturali garantisce che, di fronte all’impossibilità di “copiare ed incollare” le esperienze di successo di altre realtà, i contributi di tutti gli attori del sistema siano allineati verso l’obiettivo e su metriche comuni per la progettazione di soluzioni efficaci.
Concludendo, la VBHC si offre come buona leva per sbloccare la crisi del nostro SSN. Anche se apparentemente basata su concetti collaudati e noti da secoli in ambito sanitario, la sua implementazione prospetta sfide normative, organizzative e culturali rispetto alle quali dobbiamo prepararci, unirci e trovare risposte operative. Tuttavia, i risultati che tali sforzi possono portare, danno buone speranze di sopravvivenza per il nostro SSN.
Citando Darwing, sopravvive il più adatto: non il più forte, non il più ricco, non il più piccolo, non il più grande. Il nostro SSN, in tutte le sue declinazioni capillari nel territorio nazionale, deve essere un po’ una Biston betularia, la falena delle betulle: deve saper adattare continuamente il colore della sua struttura alare a quello del tronco su cui si poggia, che sia biancastro nella sua forma naturale o annerito dall’inquinamento, per poter sopravvivere e dare un futuro alle prossime generazioni.
…e forse proprio nella VBHC si può trovare quel cambio disruptive di tonalità che farà sopravvivere ed evolvere il nostro SSN.
[1] Si veda: Fondazione Gimbe, 2022. 7° Rapporto sulla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.
[2] Si veda: Porter M. E., Teisberg E., 2006. Redefining Health Care: Creating Value-Based Competition on Results.
[3] Si veda: Gray J.A.M., 2011. How to get better value healthcare.
[4] Si veda: Expert Panel on Effective Ways of Investing in Health (EXPH), 2019. Defining value in “value‐based healthcare”.
[5] Si veda: OECD, 2017. Tackling Wasteful Spending on Health
[6] Si veda: OECD, 2019. Status Report: Measuring What Matters: the PatientReported Indicator Surveys, Patient-reported indicators for assessing health system performance
L’ Ing. Silvia Palazzi è laureata in Engineering Management presso l’Università degli studi di Siena. Dopo alcuni anni di attività come ingegnere di processo in ambito manifatturiero, si occupa da anni di consulenza Lean Management e Value Based Healthcare in sanità e di progettazione di spazi verdi pubblici e privati, con particolare passione per il verde terapeutico.
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