Comunità in dialogo: dati, esperienze, visioni

Scritto il 25/07/2025

Il 18 giugno 2025 si è svolto a Bergamo, nella sede di Banca Intesa il primo ciclo di incontri sul tema “Prendersi cura: nuovi bisogni e nuove risposte”. Ciclo di incontri promossi dalla Fondazione Banca Popolare di Bergamo su temi di attualità. 

Vi ha preso parte Francesco Locati, Direttore Generale dell’ASST Papa Giovanni XXIII. Il tema viene introdotto da Alberto Ceresoli, Direttore de L’Eco di Bergamo.

“Prendersi cura” oggi va ben oltre il semplice gesto dell’assistenza: è un atto di presenza, ascolto e comprensione in un mondo in continua trasformazione. Le sfide del nostro tempo – l’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle fragilità psichiche, l’isolamento sociale e l’accelerazione tecnologica – stanno modificando profondamente i bisogni delle persone. Non basta più offrire risposte standard, servono nuovi sguardi, nuove modalità di relazione, nuovi strumenti.
La cura richiede tempo, empatia e competenze sempre più trasversali. Significa saper cogliere la complessità delle situazioni, rispondendo non solo ai bisogni fisici ma anche a quelli emotivi, sociali e culturali. Le risposte oggi devono essere integrate: reti tra professionisti, famiglie, comunità e istituzioni, capaci di costruire un sistema di sostegno flessibile e inclusivo. Tecnologia e innovazione possono essere alleati preziosi, ma non possono sostituire la relazione umana. La vera sfida è mantenere al centro la persona, nella sua unicità, valorizzando ogni storia e ogni fragilità. Prendersi cura, oggi, significa ricostruire legami, coltivare prossimità e promuovere una cultura della responsabilità condivisa.
Nel contesto economico attuale, “prendersi cura” assume un significato ampio e strategico. Le trasformazioni demografiche, l’instabilità del lavoro, le disuguaglianze crescenti e la transizione ecologica generano nuovi bisogni sociali ed economici che richiedono risposte innovative. Non si tratta più solo di welfare assistenziale, ma di un modello economico capace di investire nelle persone, nei territori e nelle relazioni.

Le imprese e le istituzioni sono chiamate a ripensare le proprie priorità: il benessere, la sostenibilità e la coesione sociale diventano fattori determinanti per la competitività e la resilienza. Prendersi cura, in economia, significa creare valore condiviso, sviluppare politiche del lavoro inclusive, sostenere l’imprenditorialità sociale e promuovere modelli produttivi attenti all’ambiente e ai diritti.
Le risposte non possono più essere frammentate: servono alleanze tra pubblico e privato, tra economia formale e reti comunitarie. Anche la finanza deve evolvere, sostenendo progetti ad impatto sociale. Oggi, prendersi cura è una scelta economica lungimirante: investire nel capitale umano, sociale e ambientale è l’unica strada per uno sviluppo equo e duraturo.

Nel contesto sanitario contemporaneo, “prendersi cura” significa affrontare bisogni sempre più complessi con risposte integrate e personalizzate. L’invecchiamento della popolazione, l’aumento delle malattie croniche, le disuguaglianze nell’accesso alle cure e le fragilità psicosociali stanno ridisegnando il concetto stesso di salute. Non basta più curare: è necessario prendersi cura, con un approccio centrato sulla persona e non solo sulla patologia.
Ciò richiede un sistema sanitario capace di ascolto, prevenzione e prossimità, dove le cure domiciliari, le équipe multidisciplinari e l’integrazione tra ospedale e territorio diventano fondamentali. I nuovi bisogni impongono anche un cambiamento culturale: occorre valorizzare la relazione, l’empatia, la continuità assistenziale, ponendo la salute come diritto e bene collettivo.
La tecnologia – dalla telemedicina all’intelligenza artificiale – offre opportunità straordinarie, ma non può sostituire la dimensione umana della cura. Prendersi cura oggi significa costruire fiducia, sostenere il personale sanitario, garantire equità e accessibilità, promuovere salute in ogni fase della vita.

È tempo di risposte nuove, capaci di rimettere al centro la dignità della persona, dentro un sistema che cura e si prende cura. – conclude Alberto Ceresoli che rivolge la domanda a Francesco Locati:

“In un contesto sanitario in continuo cambiamento quali sono le risposte di una Azienda Sanitaria come il Papa Giovanni XXIII con particolare riferimento ai bisogni emergenti e alle sue criticità?”

Risponde Francesco Locati:

Attorno al tema dei bisogni al centro dell’attenzione di oggi è evidente che il pensiero va all’ambito della salute: la salute permea un po’ tutte le nostre attività, sia come cittadini, sia come professionisti, sia come gestori di un servizio, quello sanitario nazionale o regionale, che è attraversato da profonde trasformazioni.
Peraltro, ciò va ben oltre i confini della salute della singola persona, assumendo via via le dimensioni rappresentate dalla salute pubblica in prima istanza, che è stata una conquista preziosa, e poi dal valore che riveste l’ecosistema nel concetto di “One health” o di “Planetary health”.  Pensiamo semplicemente alla crescente influenza delle zoonosi (malattie trasmesse dagli animali all’uomo) sulla nostra salute: come un piccolo agente virale, il coronavirus, ha cambiato le nostre certezze e innescato una risposta a livello mondiale. Il Prof. Mauro Ceruti, professore di filosofia della scienza, ha affermato in uno dei suoi libri più recenti che “l’umanesimo planetario è un umanesimo della cura delle relazioni tra umani e viventi… è un umanesimo delle interdipendenze”. A me piace ricordare un altro passaggio dello stesso autore, quello in cui si sottolinea che nell’ambito della medicina sta avvenendo quello che è avvenuto per la fisica nel secolo scorso, con l’avvento della meccanica quantistica.

In effetti tutti i progressi nascono dall’osservazione di fenomeni complessi nel 1854 a Londra nel corso di un’epidemia da colera c’era la convinzione che la malattia si trasmettesse per via aerea. Sul loro foglio di lavoro, quelli che erano i progenitori degli epidemiologi di oggi, avevano riscontrato invece una strana coincidenza con le pompe dell’acqua all’interconnessione tra Broad street e Gower. Il contagio quindi avveniva non con l’aria ma con il contatto con un altro veicolo, l’acqua: eravamo agli albori della sanità pubblica.

Dalla metà del diciannovesimo secolo in poi, sappiamo come l’armamentario medico ha avuto un’evoluzione, un’evoluzione impressionante, per le sue applicazioni che spaziano dalla diagnostica alla terapia. Per rimanere nell’ambito dei soli anticorpi monoclonali, una classe di farmaci che ha avuto uno sviluppo rilevante negli ultimi anni e in grado di modificare il decorso di più malattie, le applicazioni più recenti riguardano il Virus Respiratorio sinciziale con una significativa diminuzione dei ricoveri in pediatria e neonatologia, e la malattia di Alzheimer per la quale si è in attesa della determina dell’Agenzia italiana del Farmaco per poterlo utilizzare sui primi pazienti  (si prevedono circa 1000 pazienti nella Provincia di Bergamo). Tra le innovazioni più rilevanti troviamo le terapie cellulari avanzate come le CAR-T per il trattamento di neoplasie ematologiche, settore che presso l’Ospedale Papa Giovanni XXIII ha avuto uno sviluppo significativo, essendo dotato di una cell-factory. Molto promettenti sono le terapie geniche come è il caso dell’emofilia tipo A, con trattamento ‘one shot’.

Affrontare il tema dei nuovi bisogni comporta innanzitutto considerare il contesto in cui ci muoviamo: è un contesto che cambia e cambia rapidamente, dove elementi come la longevità, l’impatto crescente delle malattie croniche, l’equità nell’accesso alle cure, la parte della prevenzione, gli effetti sulla salute della transizione climatica giocano un ruolo rilevante. Ciò va di pari passo con l’evoluzione stessa dei bisogni: è evidente che l’ambito di gran lunga prevalente è quello delle malattie cosiddette non trasmissibili, le malattie cronico-degenerative, per il peso che hanno e per le conseguenze sul grado di autosufficienza delle persone. Nei “top five” sono le malattie cardiovascolari insieme alle malattie tumorali, al diabete e all’obesità negli adulti e nei bambini a rappresentare le principali sfide per i servizi sanitari, non dimenticando l’impatto che anche le emergenze sanitarie (prevedibili o non prevedibili) possono esercitare.

Le risposte ai bisogni emergenti risiedono principalmente nelle capacità di diagnosi, sempre più affinate (es. la biopsia liquida per il monitoraggio e la diagnosi delle malattie tumorali), nella disponibilità di trattamenti sempre più innovativi, nell’attuazione di modelli organizzativi per l’assistenza sanitaria e socio sanitaria. In particolare c’è grande dibattito sulla variabilità dei modelli organizzativi, come quella dei sistemi sanitari in funzione. Al riguardo, Michael Porter, economista statunitense, affermava più di vent’anni fa all’Hoag Memorial Hospital (CA) che il sistema universalistico (il nostro è tra i pochi ad esserlo) è essenziale, ma non è sufficiente e ciò che conta è quello che viene apportato realmente al paziente, cioè gli esiti che si producono. Prima ancora di Porter un altro autore D. Berwick, pioniere della qualità delle cure, individuava tra le 6 dimensioni della qualità (efficacia, efficienza, sicurezza, tempestività, centralità del paziente) il tema dell’equità, in relazione alla giustizia e all’imparzialità nell’access all’assistenza, nell’utilizzo e nei risultati dei servizi sanitari. Questo non significa necessariamente uguaglianza (dare a tutti lo stesso), ma piuttosto equità (dare a ciascuno secondo il bisogno). In altri termini l’accesso equo ai servizi sanitari, garantire che le persone raggiungano il massimo livello possibile di salute, l’attenzione alle condizioni socio-economiche, di disagio ambientale, le barriere linguistiche, la mancanza di istruzione possono limitare l’accesso ai servizi sanitari. Peraltro ci sono determinanti che non sono sotto il controllo diretto della sanità, in quanto esiste una forte interdipendenza con altri settori. McGinnis riporta che su 100, la salute è condizionata per il 30% da fattori genetici, 15% da condizioni sociali, 5 % da esposizioni ambientali, 40% da pattern comportamentali. L’apporto che le organizzazioni sanitarie prese nel loro complesso con i professionisti possono esprimere può fare la differenza; anzi può essere una leva potente nel creare tutte le sinergie per produrre miglioramenti significativi. Un esempio in questa direzione viene dall’esperienza che il Dr. Press, general practitioner, ha raccontato sul New England Journal of Medicine (2014) nel suo ruolo di “quarteback’”nel percorso di cura di un paziente.


L’animazione del “patient journey” mette bene in evidenza le numerose interazioni tra medico e paziente, tra medico e colleghi di differenti specialità, utilizzando le modalità più varie sia in presenza che a distanza, con sullo sfondo lo scorrere dei giorni. Alla fine di questo racconto il Dr. Press afferma: “Non avevo rapporti con la maggior parte degli altri medici del signor K. quando è iniziato il suo percorso di cura; quindi li ho contattati tempestivamente e spesso per stabilire delle connessioni. Credo che queste connessioni abbiano instillato un senso di responsabilità reciproca. Parte del mio lavoro come ‘pivot’ è assicurarmi che gli altri giocatori sappiano dove si trova la palla e quali percorsi sta seguendo ciascuno. Garantire l’assistenza in modo collaborativo è più piacevole che rimanere da soli nei nostri silos. Nessuno sa con certezza come si sarebbe sviluppato il caso del signor K. senza un efficace coordinamento delle cure. Ma questa vicenda che ho raccontato rivela che esiste un solo modo per i medici di affrontare la natura incerta delle cure complesse: lavorare insieme”. Sempre D. Berwick a proposito di sprechi in sanità rimarcava che la mancanza di coordinamento delle cure (appropriatezza organizzativa) è responsabile di una quota non marginale di sprechi, rispetto ad altri items, v. la complessità amministrativa e questa è una responsabilità dei professionisti, insieme all’altro tipo di appropriatezza che è quella prescrittiva come ad es. l’overtreatment

In conclusione, su quale driver per il cambiamento possiamo contare? Qualcuno ha proposto il modello esagonale riportato nella fig. 1, dove si fa riferimento al fatto che la salute della popolazione è influenzata da una vasta gamma di fattori: abbiamo sicuramente a che fare con offrire le migliori cure per la persona, le migliori cure per la popolazione, a costi accessibili, a cui si aggiungono la protezione e il valore dei professionisti, evitando il burn-out. Nello stesso tempo migliorare la salute della popolazione non è però solo ascrivibile ai sistemi di erogazione dell’assistenza sanitaria. Tale obiettivo richiede sforzi meglio coordinati in ogni settore della società, un uso più efficace dei servizi pubblici e risorse più integrate e in co-operazione, coerenti con i principi della sostenibilità per la salute e il benessere dei nostri cittadini. Le crescenti sfide in materia di salute pubblica, di equità, economia e ambiente nei sistemi dei nostri paesi richiedono interventi intersettoriali se si vuole raggiungere un grado di salute e benessere per le generazioni presenti e future. Per ognuno di questi punti ci sono delle risposte: si tratta di attuarle! 

Il PNRR con i suoi effetti (per l’Italia 15,6 miliardi di euro) ci ha indotto a  misurarci concretamente nel realizzare veri reti di prossimità, portando i servizi più vicini alla persona, partendo da una lettura del territorio e plasmando un’organizzazione che va in quella direzione: il compito è quello di conciliare un ospedale di alta specializzazione e di rilievo nazionale come l’ASST Papa Giovanni XXIII con una presa in carico reale dei pazienti, migliorando certamente il funzionamento stesso dell’ospedale, ma soprattutto massimizzare il beneficio per il cittadino, riducendo la frammentazione delle cure e dando una maggiore evidenza agli interventi di prevenzione.

È il terreno su cui si sono spese generazioni di esperti di organizzazioni sanitarie come i direttori generali Monchiero e Lucchina che, per primo, in Regione Lombardia, ha introdotto la logica dei CReG (Chronic related Group) per il raggiungimento degli obiettivi di salute per la singola persona e per la popolazione di riferimento”.