Dal Nobel 2025 alle Decisioni di Sistema: Riflessioni per Manager della Sanità Italiana

Scritto il 07/10/2025

Il Premio Nobel per la Medicina 2025 assegnato per la scoperta delle cellule T regolatorie (Treg) arriva in un momento particolare per chi deve decidere investimenti strategici nel sistema sanitario italiano. Non perché le terapie Treg siano l’unica tecnologia rilevante all’orizzonte, ma perché rappresentano un caso paradigmatico di una sfida più ampia: come allocare risorse limitate tra tecnologie avanzate in competizione, tutte promettenti, tutte costose, tutte con tempistiche comparabili. Un direttore generale di azienda ospedaliera, un dirigente di assessorato regionale, un funzionario di Agenas o del Ministero che oggi deve decidere dove investire nei prossimi tre-cinque anni si trova di fronte non a una scelta binaria ma a un portfolio di opzioni che richiedono valutazione comparativa.

Le terapie basate sulle cellule T regolatorie arriveranno sul mercato italiano tra il 2028 e il 2030, dopo completamento dei trial clinici, approvazione EMA e negoziazione AIFA. Riguarderanno inizialmente tremila-cinquemila pazienti annui con malattie autoimmuni severe refrattarie a tutte le terapie standard. Costo stimato: trecentocinquanta-cinquecentomila euro per trattamento iniziale, impatto complessivo sul sistema uno-due miliardi annui a regime. Richiedono investimenti strutturali significativi: dodici-quindici centri hub nazionali con clean room GMP, personale ultra-specializzato, costi di undici-diciassette milioni per hub, timeline di realizzazione quattro-sei anni. Sono numeri precisi, basati su analisi epidemiologiche e costi effettivi di tecnologie comparabili come CAR-T e trapianti. Ma sono solo una parte del quadro.

Nello stesso orizzonte temporale 2028-2035 arriveranno altre tecnologie che competono per le stesse risorse di investimento, con impatti potenzialmente superiori. La prima è la medicina di precisione oncologica con sequenziamento genomico universale. Oggi solo il dieci-quindici percento dei pazienti oncologici italiani riceve sequenziamento genomico del tumore per guidare la scelta terapeutica. C’è una spinta politica fortissima, europea e nazionale, per arrivare al cento percento entro il 2030. Significa passare da cinquantamila a trecentosettantamila sequenziamenti annui. Ogni sequenziamento costa duemila-tremila euro, totale un miliardo centomilioni solo per i test. Ma il costo vero sta nelle terapie target che ne derivano: farmaci di precisione che costano ottanta-centoventimila euro per paziente annuo. Se il trenta percento dei pazienti oncologici riceve una terapia genomica-guidata, parliamo di nove-dodici miliardi annui. È il cinque-sei percento dell’intera spesa farmaceutica nazionale, contro l’uno-due percento delle Treg.

L’impatto organizzativo della genomica oncologica è più diffuso ma altrettanto complesso. Serve riorganizzare tutti i centri oncologici del paese, non solo dodici hub. Servono laboratori di genomica con capacità di processare centinaia di campioni settimanali, bioinformatici per analizzare i dati, molecular tumor board multidisciplinari, database nazionali per matchare mutazioni con trial clinici disponibili, formazione massiva di oncologi sulla interpretazione di risultati genomici. Oggi in Italia ci sono circa duecento bioinformatici qualificati in ambito clinico. Ne servirebbero duemila. Un immunologo per le Treg si forma in otto-dieci anni, ma almeno si parte da una base di cinquanta-ottanta professionisti esistenti. Per i bioinformatici clinici si parte quasi da zero e servono sei-otto anni di formazione specifica dopo la laurea.

La seconda tecnologia è l’intelligenza artificiale diagnostica integrata nei flussi clinici. Non sistemi isolati per screening mammografico o lettura radiografie, che già esistono, ma integrazione sistemica dove ogni immagine, ogni esame di laboratorio, ogni dato clinico passa attraverso algoritmi che danno alert, suggeriscono diagnosi, predicono rischi di riacutizzazione. Gli studi più solidi indicano potenziali di riduzione di errori diagnostici del venti-trenta percento, riduzione dei tempi di refertazione del quaranta-cinquanta percento, predizione di ospedalizzazioni evitabili con accuratezza del settantacinque-ottanta percento. Tradotto in termini economici: risparmi stimati di due-tre miliardi annui a livello nazionale per minori diagnosi tardive, minori ricoveri inappropriati, minore contenzioso legale. È l’unica tecnologia del portfolio che genera risparmi netti invece di costi aggiuntivi.

Ma richiede prerequisiti che in Italia non ci sono. Digitalizzazione completa della documentazione clinica: al Sud il quaranta percento dei documenti è ancora cartaceo. Interoperabilità tra sistemi informativi: oggi ogni fornitore ha standard proprietari che non comunicano tra loro. Framework normativo sulla responsabilità medico-legale quando l’AI suggerisce diagnosi: se il medico ignora il suggerimento dell’AI e c’è complicanza chi risponde? Se segue l’AI ma l’AI sbaglia chi risponde? Sono domande senza risposta giuridica chiara. E serve decisione nazionale su standard tecnici: se una regione compra AI per imaging da GE, un’altra da Siemens, una terza da Philips, e nessuna parla con le altre, si crea un mosaico inutilizzabile. L’investimento IT necessario per digitalizzazione completa di una ASL da un milione di abitanti è di venti-trenta milioni. Moltiplicato per cento ASL italiane fa due-tre miliardi. È comparabile all’investimento totale per tutti gli hub Treg nazionali, ma distribuito su tutto il territorio invece che concentrato.

La terza tecnologia sono le terapie mRNA terapeutiche non vaccinali. Pfizer, Moderna, BioNTech stanno investendo miliardi in applicazioni oncologiche e cardiovascolari dell’mRNA: vaccini terapeutici personalizzati contro tumori specifici del paziente, mRNA che codifica per VEGF per rigenerare vasi coronarici, mRNA per sostituire proteine mancanti in malattie rare. La pipeline include quaranta-cinquanta trial clinici in fase II-III. I primi potrebbero arrivare sul mercato 2027-2030, prima delle Treg. Popolazione target potenziale: trecentomila pazienti oncologici annui, un milione di pazienti cardiovascolari, cinquantamila con malattie rare. Costi stimati cinquanta-centocinquantamila euro per ciclo terapeutico. Se solo il cinque percento degli oncologici riceve terapie mRNA parliamo di un miliardo annuo, comparabile alle Treg ma con numeri di pazienti venti volte superiori.

Il vantaggio organizzativo è che le terapie mRNA si gestiscono come farmaci tradizionali: arrivano dal produttore, si conservano a temperatura controllata, si somministrano in infusione standard. Non servono clean room, non serve preparazione cellulare, non servono team ultra-specializzati. Ma c’è una dipendenza critica: per vaccini terapeutici oncologici personalizzati serve sequenziare il tumore del paziente, identificare le mutazioni specifiche, produrre in poche settimane un mRNA su misura. Torniamo quindi alla necessità di infrastruttura genomica nazionale robusta. Le tecnologie non sono indipendenti, si intrecciano.

La quarta tecnologia sono le terapie geniche in vivo con editing genomico diretto. A differenza delle CAR-T e delle Treg che sono terapie ex vivo, dove prelevi cellule, le modifichi in laboratorio e le reinfondi, qui inietti direttamente vettori virali o sistemi CRISPR che correggono geni difettosi dentro il corpo del paziente. Già approvate per atrofia muscolare spinale con Zolgensma, in sviluppo per distrofie muscolari, emoglobinopatie, malattie metaboliche rare. Popolazione target in Italia: duemila-tremila pazienti annui nei prossimi cinque-sette anni. Numeri piccoli, ma costi unitari estremi: uno-tre milioni di euro per trattamento. Zolgensma per SMA costa due milioni. Totale quattro-sei miliardi annui per duemila-tremila pazienti. È il doppio dell’impatto delle Treg con la metà dei pazienti.

Organizzativamente sono più semplici delle Treg: infusioni o iniezioni in day hospital da personale formato, non serve infrastruttura speciale. Ma pongono problemi etici e di sostenibilità acuti. Come decidi chi trattare quando un singolo paziente costa due milioni? Un bambino con SMA ha aspettativa di vita normale se trattato entro i due anni, ma la malattia è progressiva e irreversibile se non trattato. Il valore terapeutico è enorme ma il costo pure. Servono criteri di appropriateness nazionali stringentissimi, commissioni etiche robuste, meccanismi di finanziamento straordinari. Quattro-sei miliardi annui non possono uscire dai budget ordinari regionali. Serve fondo nazionale, probabilmente finanziato con meccanismi dedicati tipo lotterie come nel Regno Unito o tassazione specifica. Ma questa discussione politica non è iniziata.

La quinta tecnologia, più lontana ma da monitorare, sono gli xenotrapianti di organi da maiali geneticamente modificati. FDA ha autorizzato primi trapianti sperimentali di cuori e reni suini in pazienti terminali. I dati preliminari mostrano funzionalità accettabile per alcuni mesi, ma ci sono ancora problemi di rigetto cronico e rischio di infezioni da retrovirus porcini. Se questi problemi si risolvono, gli xenotrapianti potrebbero azzerare le liste di attesa: in Italia tremila persone aspettano un rene, seicento un cuore, mille un fegato, con trecento-quattrocento morti in lista ogni anno. Tempistiche incerte: ottimisti dicono primi trapianti clinici di routine 2030-2032, realisti 2035-2040. Costo stimato per organo centomila-duecentomila euro, comparabile a trapianto umano, quindi economicamente sostenibile. Organizzativamente si usa l’infrastruttura trapianti esistente, forse con allevamenti certificati di maiali transgenici vicino agli ospedali. Ma ci sono ostacoli enormi: opposizione di associazioni animaliste, problemi religiosi in comunità che vietano carne suina, accettabilità sociale tutta da verificare. È tecnologia da tenere sul radar ma non da pianificare investimenti ora.

Un decisore che deve allocare risorse limitate tra queste opzioni ha bisogno di un framework di valutazione comparativa. I criteri rilevanti sono almeno sei. Primo: impatto epidemiologico, quanti pazienti beneficiano. Secondo: valore terapeutico per paziente, quanto migliora la loro condizione. Terzo: impatto economico totale sul sistema. Quarto: certezza delle tempistiche di arrivo. Quinto: complessità organizzativa e investimenti richiesti. Sesto: dipendenze da altre tecnologie o decisioni di livello superiore.

Applicando questi criteri, la medicina di precisione oncologica genomica ha il punteggio complessivo più alto. Impatto epidemiologico: trecentosettantamila pazienti annui, il più alto di tutte le tecnologie. Valore terapeutico: aumento di sopravvivenza mediamente di sei-dodici mesi per pazienti con tumori avanzati trattati con terapie target appropriate, guadagno di zero virgola cinque-uno QALY. Non rivoluzionario ma significativo. Impatto economico: dieci-dodici miliardi annui, il più alto, ma distribuito, non concentrato. Certezza tempistiche: alta, c’è spinta politica europea esplicita nel piano EU Cancer Mission per sequenziamento universale entro 2030. Complessità organizzativa: alta, richiede riorganizzazione di tutti i centri oncologici, ma fattibile perché distribuita. Dipendenze: relativamente indipendente, anche se beneficia di AI per analisi dati.

La raccomandazione operativa per un decisore regionale o nazionale è che la medicina di precisione oncologica deve essere la priorità di investimento nei prossimi tre-cinque anni. Concretamente significa: costituzione di laboratori di genomica regionali con capacità di mille-duemila sequenziamenti mensili, investimento di otto-dodici milioni per laboratorio, quattro-cinque laboratori per coprire il paese. Programmi di formazione per duecento bioinformatici clinici annui attraverso master universitari e fellowship, investimento di venti-trenta milioni su cinque anni. Creazione di molecular tumor board in tutti i centri oncologici con più di cento nuove diagnosi annue, circa cinquanta centri nazionali. Sviluppo di database nazionale per matching mutazioni-trial clinici, piattaforma informatica da tre-cinque milioni. Totale investimento nazionale stimato: centocinquanta-duecento milioni su cinque anni. È significativo ma gestibile, ed è propedeutico anche ad altre tecnologie.

La seconda priorità è l’integrazione AI diagnostica, ma condizionata a decisioni di livello nazionale su standard tecnici e framework normativo di responsabilità. Senza queste decisioni, investimenti locali rischiano di creare un mosaico incompatibile. La raccomandazione è che Ministero e Agenas costituiscano entro sei mesi un tavolo tecnico per definire standard nazionali di interoperabilità AI sanitaria e proporre al Parlamento una norma sulla responsabilità medico-legale in presenza di supporto AI. Una volta definito il framework, ogni regione può pianificare investimenti IT sapendo che saranno interoperabili. Timeline realistica: dodici-diciotto mesi per standard e norma, poi ventiquattro-trentasei mesi per implementazione regionale. Operatività 2028-2030.

La terza priorità sono le terapie cellulari avanzate, categoria che include Treg ma anche CAR-T, terapie per rigetto di trapianto, future applicazioni. La logica è costruire infrastruttura polivalente, non mono-tecnologia. Un centro che fa solo Treg tratta trecento pazienti annui ed è al limite della sostenibilità. Un centro che fa Treg più CAR-T più altre terapie cellulari tratta ottocento-mille pazienti annui e ha economie di scala. La raccomandazione è identificare dodici centri nazionali per terapie cellulari avanzate, investimento quindici-venti milioni per centro considerando che parte dell’infrastruttura esiste già per CAR-T. Priorità a centri che hanno già esperienza CAR-T o trapianto, che hanno scuole di specializzazione in immunologia o ematologia, che hanno bacino di utenza di quattro-cinque milioni. Timeline: chi inizia progettazione nel 2025 è operativo 2029-2031. Investimento totale nazionale: centoottanta-duecentoquaranta milioni su sei anni.

La quarta priorità sono le terapie geniche in vivo, ma non come investimento infrastrutturale perché non serve, ma come costruzione di framework di governance. Il problema non è organizzativo ma etico-economico: chi decide quali pazienti trattare quando un trattamento costa due milioni? La raccomandazione è che Ministero costituisca entro dodici mesi una Commissione Nazionale Terapie Geniche con rappresentanti di società scientifiche, bioeticisti, economisti sanitari, rappresentanti pazienti, che definisca criteri di appropriatezza per ogni indicazione terapeutica, meccanismi di finanziamento straordinario, sistemi di monitoraggio outcome. Senza questa governance nazionale, ogni regione decide in modo diverso e si crea disparità inaccettabile. Una famiglia in Lombardia con bambino con SMA ottiene trattamento da due milioni, una in Calabria no? Inaccettabile costituzionalmente.

La quinta priorità, a livello di monitoraggio ma non investimento, sono xenotrapianti e terapie avanzate del microbioma. Troppo incerte nelle tempistiche, troppi problemi tecnici o scientifici ancora aperti. La raccomandazione è che Agenas e ISS mantengano un osservatorio su queste tecnologie con report annuale su progressi scientifici e regolatori, ma senza allocare ora risorse per implementazione.

Questa gerarchia di priorità può sembrare razionale sulla carta ma si scontra con dinamiche politiche e competitive tra istituzioni. Un direttore generale di grande azienda ospedaliera universitaria potrebbe ragionare: se investo quindici milioni in un centro terapie cellulari avanzate divento riferimento nazionale per una tecnologia di nicchia, attraggo professionisti di alto livello, genero pubblicazioni di impatto, posiziono il mio ospedale come eccellenza. Se invece investo otto milioni in laboratorio genomico regionale faccio un servizio importante ma meno visibile, meno attrattivo per recruiting, meno generatore di reputazione scientifica. La logica competitiva tra ospedali spinge verso investimenti in tecnologie di nicchia ad alta specializzazione piuttosto che in infrastrutture di base ad alto impatto di popolazione. È una distorsione nota dei sistemi sanitari che lasciano autonomia alle singole aziende senza coordinamento forte.

Serve quindi una regia nazionale che non si limiti a raccomandare priorità ma che vincoli allocazione di fondi. Se il Ministero attraverso fondi PNRR o altri meccanismi di finanziamento straordinario dice: mettiamo duecento milioni per genomica oncologica, condizione per accedere ai fondi è partecipare a rete nazionale con standard condivisi, allora le singole aziende si allineano. Se invece ogni regione decide autonomamente, alcune investono in genomica, altre in terapie cellulari, altre in AI, e si crea un patchwork inefficiente. Il problema è che la sanità è materia concorrente Stato-Regioni, le regioni rivendicano autonomia organizzativa, e ogni tentativo di coordinamento nazionale incontra resistenze politiche. Ma senza coordinamento, l’Italia rischia di arrivare al 2030 con cinque regioni che hanno infrastruttura genomica di livello internazionale e quindici che non hanno nulla, con mobilità sanitaria impazzita e costi di scompenso enormi.

C’è poi la questione delle differenze Nord-Sud che attraversa tutte le tecnologie. Le regioni settentrionali hanno capacità di investimento, competenze preesistenti, attrattività per professionisti. Le regioni meridionali sono in piano di rientro con blocchi su assunzioni e investimenti, hanno fuga di cervelli del quaranta percento degli specializzandi, hanno gap tecnologico enorme. Lo scenario più probabile è che nel 2030 Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna avranno genomica oncologica operativa, AI integrata, centri terapie cellulari di eccellenza. Campania, Puglia, Sicilia, Calabria avranno pezzi di queste cose ma frammentati, sottodimensionati, dipendenti da mobilità verso Nord. Per evitare questo serve decisione politica di destinare quota di fondi strutturali europei o PNRR specificamente a colmare gap Sud. Ma richiede volontà politica nazionale forte che oggi non si vede. E il tempo stringe: le opere PNRR vanno completate entro fine 2026 per molte linee di finanziamento.

Un altro aspetto spesso sottovalutato è l’interdipendenza delle tecnologie. L’infrastruttura genomica che serve per medicina di precisione oncologica serve anche per terapie mRNA personalizzate, per diagnosi prenatale avanzata, per screening di portatori di malattie genetiche, per farmacogenomica che ottimizza dosaggi di farmaci comuni. Un investimento in genomica ha quindi valore moltiplicatore. Analogamente, la piattaforma AI che analizza immagini diagnostiche può essere estesa ad analisi di dati genomici, predizione di rischio cardiovascolare, ottimizzazione di percorsi clinici. E i centri di terapie cellulari che fanno Treg possono fare CAR-T, terapie per trapianto, future terapie cellulari ancora in sviluppo. Chi investe in infrastrutture polivalenti massimizza il ritorno. Chi investe in infrastrutture mono-tecnologia rischia di avere asset sottoutilizzati o che diventano obsoleti quando arrivano tecnologie successive.

La lezione del Nobel 2025 per un manager sanitario non è quindi “dobbiamo prepararci alle terapie Treg” ma “dobbiamo prepararci a un portfolio di tecnologie avanzate con logica di investimento strategico che massimizzi valore e flessibilità”. Le terapie Treg sono un caso interessante ma non il più importante per numeri o per impatto organizzativo. Sono una delle tessere di un mosaico più complesso. Un decisore razionale alloca risorse prima alle tecnologie con maggior impatto di popolazione e maggiore certezza di arrivo, costruendo infrastrutture polivalenti che abilitano più applicazioni. Solo dopo, con risorse residue, investe in tecnologie di nicchia ad alto costo unitario.

Ma la razionalità tecnica non è l’unica variabile. Ci sono pressioni politiche: associazioni di pazienti con malattie rare fanno lobbying fortissimo per tecnologie che li riguardano, anche se numericamente piccole. Ci sono dinamiche competitive tra istituzioni: il policlinico A vuole distinguersi dal policlinico B con tecnologia esclusiva. Ci sono percorsi di carriera di singoli clinici: il primario di immunologia spinge per centro Treg perché è il suo campo di ricerca. Ci sono inerzie organizzative: è più facile continuare a fare quello che si fa già, potenziandolo, che riorganizzare da zero. E ci sono vincoli normativi e autorizzativi che rendono certi investimenti più complessi di altri indipendentemente dal valore.

Un manager che vuole fare scelte strategiche solide in questo contesto ha bisogno di tre cose. Primo: dati epidemiologici e clinici affidabili su tutte le tecnologie, non solo quelle che hanno avuto il Nobel. Questo documento ha tentato di fornirli in modo comparativo. Secondo: analisi costi-benefici rigorose che considerino non solo costi diretti ma costi opportunità e benefici indiretti. Terzo: capacità di costruire consenso politico e professionale attorno a scelte che privilegeranno alcune tecnologie rispetto ad altre, deludendo alcuni stakeholder.

La finestra per decidere è stretta. Le tecnologie arriveranno tra 2028 e 2032, gli investimenti richiedono quattro-sei anni di implementazione. Chi decide nel 2025 sarà pronto nel 2029-2031. Chi decide nel 2027 sarà pronto nel 2032-2034, con tre-cinque anni di ritardo. In sanità tre-cinque anni di ritardo significano perdita di competenze perché i professionisti migrano verso centri già operativi, perdita di pazienti per mobilità sanitaria, perdita di reputazione e capacità di attrarre finanziamenti di ricerca. Il gap si auto-amplifica: chi parte prima attrae i migliori professionisti, che portano capacità di competere per grant di ricerca europei, che generano pubblicazioni, che attraggono ulteriori professionisti. Chi parte dopo si ritrova a rincorrere con costi più alti e risultati più modesti.

Il Nobel 2025 per la scoperta delle cellule T regolatorie è quindi un campanello d’allarme non specifico per le Treg ma generale: la medicina sta cambiando rapidamente, tecnologie complesse e costose stanno arrivando in parallelo, serve capacità di scelta strategica basata su dati, non su mode o pressioni. Le organizzazioni sanitarie che nei prossimi dodici-diciotto mesi faranno analisi rigorose, sceglieranno priorità chiare, investiranno con coerenza, si posizioneranno come leader per i prossimi vent’anni. Le organizzazioni che continueranno a gestire l’ordinario senza visione strategica, che faranno investimenti frammentati sotto pressione di singoli stakeholder, che aspetteranno di vedere cosa fanno gli altri, si ritroveranno marginalizzate.

La raccomandazione finale per ogni decisore, che sia in Ministero, Agenas, regione o azienda ospedaliera, è di costituire nei prossimi tre mesi un gruppo di lavoro multidisciplinare che includa clinici, economisti sanitari, esperti di organizzazione, rappresentanti pazienti, con mandato esplicito di produrre entro sei mesi un documento strategico sulle tecnologie emergenti 2028-2035, con analisi comparativa di impatti e costi, proposta di priorità di investimento, timeline di implementazione, meccanismi di finanziamento. Questo documento deve poi essere discusso con organi politici di indirizzo, deve ottenere validazione formale, deve tradursi in piano operativo con responsabilità, milestone, budget allocati. Senza questo processo strutturato, le decisioni saranno frammentate, opportunistiche, sub-ottimali.

Il Nobel 2025 non è solo un riconoscimento scientifico. È un promemoria che il futuro della medicina si costruisce oggi, con scelte consapevoli basate su evidenze e visione strategica. Chi coglie questo messaggio e agisce di conseguenza sarà pronto. Chi lo ignora pagherà il prezzo nei prossimi dieci-quindici anni.