Insegno management per le imprese, amministrazioni pubbliche, servizio sanitario, enti del terzo settore da oltre cinquant’anni e, con il senso di autoironia che ognuno di noi dovrebbe avere, ricordo a me stesso il detto secondo cui “chi sa fa, chi non sa insegna”.
Cerco di uscire da questa trappola sottoponendo alla valutazione di lettrici e lettori ciò che penserei di fare “se fossi manager”. Innanzitutto, accetterei il suggerimento di Henri Mintzberg, secondo il quale gli organigrammi sono disegnati in modo non corretto perché pongono l’amministratore delegato o il direttore di una unità organizzativa al vertice.
La sua proposta, che faccio mia, è quella di presentare un organigramma nel quale la posizione del manager è posta al centro rispetto alle posizioni di chi ha dirette relazioni con lei/lui. In questo modo verrebbe evidenziato, anche visivamente, il principio secondo cui, in una realtà sempre più complessa, la funzione manageriale è “per un quarto contenuti (ossia conoscenza dell’attività, nel caso specifico processi assistenziali) e per tre quarti relazioni”.
In secondo luogo assumerei questo criterio di comportamento. Ogni volta che nasce o viene posto un problema da parte di qualche unità organizzativa (dell’ospedale, dell’azienda sanitaria), invece di convocare i diretti interessati nel mio ufficio cercherei di recarmi sul posto dove è nata la questione o nell’ufficio delle collaboratrici e dei collaboratori, per avere due vantaggi.
Innanzitutto conoscere la realtà, fisica, di eventuale affollamento dei locali e prendere atto del senso di organizzazione o disorganizzazione che si può avere attraversando un corridoio, un atrio ecc. Secondo, dare un messaggio di attenzione che può favorire relazioni positive. Sono convinto che l’inizio e il clima delle riunioni possa essere molto diverso quando esse si svolgono nell’ufficio “del capo/superiore” o nell’ufficio di chi è coinvolto nella soluzione dei problemi.